
La bambina e le mani in pasta
C’era una volta una bambina che aprì gli occhi e che guardò il mondo attraverso lo sguardo fermo del padre. Cercava di vestirsi di bianco, ma una profonda disistima si tramandava in lei. Con fatica si cucì addosso il suo ideale ed andò per le strade del mondo calpestando le sue profonde mancanze. Si fece pioniera di percorsi belli e complicati ma non sapeva di essere legata a doppio filo a tutto ciò che gli altri si aspettavano da lei. L’amore fu come un risveglio della sua sopita passione, al punto tale da fare da specchio alla propria rabbia repressa e alle proprie manie di controllo. Ella cominciò a cercare al di fuori di se stessa ma trovò solo illusioni e capì che doveva cercare dentro di lei. Mentre cercava con grande frenesia ritrovò la strada per protendersi al cielo ma non seppe discernere e tagliò fuori da se stessa tutto quello che non si raccordava al proprio ego. Il dolore fu tale da mettere le mani in pasta e cominciare a creare una nuova identità benché le pulsioni più torbide continuassero a crearle illusioni. Perseverante continuò a costruire la sua immagine perfetta e più diventava sovrana della sua stessa vita e più la gentilezza scappava via, lasciando posto ad un dispotismo sterile e vuoto. Gli avi allora le fecero un regalo e le aprirono l’occhio interiore. Lei vedeva senza guardare e chiudendosi in se stessa affrontò le catene del passato, traendo da esse la saggezza per ritrovarsi con consapevolezza e discernimento. Cosa può tuttavia la saggezza senza un pizzico di follia? Volle tornare a vivere con gioia, incorse su strade accidentate e pulsioni tossiche allorché capì che :“leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.
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